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Irrancidimento Ossidativo: Iniziazione e Propagazione

L’irrancidimento ossidativo è un processo bio-chimico a cui vanno incontro tutte le matrici alimentari contenenti oli e grassi sia aggiunti che naturali. Questo processo si verifica sostanzialmente a scapito degli acidi grassi liberi e determina la degradazione della qualità nutrizionale e sensoriale del prodotto alimentare. Per convenzione si tende a schematizzare il processo di perossidazione in 3 stadi separati ma essi, in un sistema eterogeneo e “multimolecolare” tipico delle matrici alimentari, si verificano contemporaneamente e cambiano solo i rapporti specifici tra i 3 stadi. [banner] All’inizio del processo la reazione che predomina è quella denominata iniziazione, a cui segue la propagazione ed infine la terminazione. Il primo stadio ha una rilevanza del 100% all’inizio del processo ossidativo e quella di terminazione è nulla. Ma man mano che avviene l’iniziazione si tende a passare nella propagazione, infatti le reazioni non sono isolate bensì continue e nel sistema dipendono dalle concentrazioni relative dei composti neo formati. I principali fautori delle reazioni di perossidazione sono i radicali liberi. In natura esistono diverse fonti primarie di radicali liberi, ma quelli che si propagano dall’olio sono stati ben riconosciuti. Essi identificano molecole instabili che reagiscono in modo rapido e mirato con molecole vicinali sensibili. In particolare riveste un ruolo fondamentale l’ossigeno singoletto che diffonde facilmente nei grassi liquidi operando sugli acidi grassi ossidandoli.

Supposto che:

  • RH= acido grasso idrogenato
  • X• = radicale libero
  • O2 = ossigeno

si ha che la reazione di iniziazione è verificata dall’equazione:

dove R• = grasso ossidato e XH = molecola stabile (non reattiva)

La reazione di iniziazione origina un numero limitato di molecole di acidi grassi dotate di un elettrone spaiato R• che sono molto reattive a loro volta nei confronti di altre molecole sensibili: siamo nel secondo stadio.

La propagazione è un sistema complesso di reazioni cicliche che seguono uno schema “inflazionario” e da una serie ne scaturiscono altre fino a raggiungere un plateu oltre cui la materia reagente termina.

Propagazione di Reazioni Ossidative; Lo schema va letto dall’alto verso il basso, le frecce indicano reazioni a catena

Formazione di un idroperossido dell’acido oleico

Nelle reazioni di propagazione l’ossigeno atmosferico reagisce con i radicali liberi per dare radicali perossi (ROO•) anche essi molto instabili. Se incontrano un acido grasso insaturo (RH) nelle vicinanze, formano insieme un idroperossido (ROOH) e un nuovo radicale reattivo (R•). Due idroperossidi reagendo tra loro formano acqua, radicali perossi (ROO•) e radicali alcossi (RO•).

Scomposizione degli idroperossidi in ioni alcossi e perossi

I radicali perossi e alcossi sono nuovamente implicati in una nuova serie di reazioni radicaliche. In effetti essi, come il radicale originario del primo stadio, sono capaci di estrarre facilmente gli atomi di idrogeno dei gruppi metilenci dei grassi monoenoici (acido oleico) e dei polienoici (come l’acido linoleico). I gruppi metilenici sono particolarmente esposti all’estrazione idrogenionica e da cui l’elettrone rimasto tende a spostarsi sulla catena carboniosa per formare un doppio legame trans assieme ad un idroperossido. Questo meccanismo interessa in particolare l’acido oleico (C18:1) e dà origine agli idroperossidi in posizione 8-9-10 e 11 in percentuali uguali. La reazione dell’acido linoleico (C18:2) invece porta alla formazione di idroperossidi in posizione 9 e 13 in quanto il diene coniugato è molto stabile e difficilmente concede l’ingresso all’ossigeno nelle parti centrali del sistema elettronico. Man mano che gli idroperossidi si accumulano nel grasso, l’ossigeno disciolto nella matrice grassa è assorbito in quantità notevoli ma, al procedere della reazione a catena, iniziano sempre più ad evidenziarsi i prodotti della degradazione come aldeidi, chetoni e alcoli. A generare tutte queste reazioni a cascata sembra essere implicato l’ossigeno singoletto ovvero una forma di ossigeno molto instabile (di cui parlo in altra sede), e che sembra essere attivato dalla clorofilla, dal gruppo eme (nella carne), dalla riboflavina e dalla luce. Non a caso gli oli tendono a conservarsi per un tempo più lungo se sono disposti in recipienti scuri, schermati dalla radiazione luminosa ed in cui sia stata applicata una bassa una bassa pressione parziale di ossigeno ( ovvero in atmosfera modificata).

alimentech in Chimica degli Alimenti,Grassi e derivati am Febbraio 25 2012 » Comments are closed.

Patatine Fritte più magre dopo Sgocciolamento Sottovuoto

Le patatine fritte sono un prodotto di culto ormai, vedere un film senza sgranocchiare patatine è come non vederlo affatto e molto spesso esse sono additate in quanto alimento superfluo e a volte dannoso per la salute umana. Le patatine fritte infatti non solo apportano nell’organismo  il carico calorico dell’amido di cui sono ricche, ma presentano anche una certa percentuale di olio e quindi di grasso. Questa combinazione le rende uno dei prodotti più calorici della dieta “mondiale”. [banner] Uno studio pubblicato sul Journal of Food Scienze ha messo in luce che specifici trattamenti pre e post cottura delle chips, possono effettivamente ridurre l’imbibizione di olio nelle patatine fritte.  In particolare la riduzione della pressione in una delle fasi post-cottura ha un  ruolo “sgassante” che facilita l’allontanamento dell’olio adeso. In particolare sono state sperimente tre specifiche varianti di cottura da confrontare con quelle di controllo.

Controllo: fruttura a pressione atmosferica (1 atm = 101,325 KPa) + sgocciolamento per 180 sec.

  1. Frittura ad 1 atm seguita dalla sua riduzione a 13,33 KPa circa 40 secondi prima della fine della cottura + sgocciolamento sottovuoto per 180 sec
  2. Frittura ad 1 atm seguita dalla sua riduzione a 13,33 KPa circa 3 secondi prima della fine della cottura + sgocciolamento sottovuoto per 180 sec
  3. Frittura ad 1 atm + sgocciolamento sottovuoto per 180 sec a 13,33 KPa dopo la cottura

Il controllo ha evidenziato un assorbimento di olio pari a 68,48 g/100 di materia secca (s.s.). La prima variante ha avidenziato la produzione di patatine più grasse del controllo (71g/100g sostanza secca). La seconda variante hanno prodotto patatine con 52,5 g/100 g ss. La terza variante invece ha dato patatine con il minore apporto di olio rispetto alle altre (32g olio/100g ss).

 

In effetti un tale risultato deriva dal fatto che la modifica della pressione prima della conclusione della cottura determina un anomalo arricchimento di olio nella massa amidacea delle patatine. Solo dopo la cottura, cioè in fase di sgocciolamento, la riduzione della pressione ha un effetto decisivo. Questo risultato può essere desunto dal naturale processo di cottura. Se si riduce la pressione prima della fine della cottura, l’evaporazione forzata dell’acqua presente nelle patate facilità l’ingresso anticipato dell’olio in quanto, in condizioni normali, la cottura è un processo di trasferimento di calore e di massa.

Il calore, durante la frittura, si trasferisce dall’esterno all’interno della patata, mentre la massa uscente è quella dell’acqua che evapora dalla superficie della patatina. Questo equilibrio viene alterato se viene applicata una pressione negativa (riduzione di pressione) prima della fine della cottura comportando un maggiore arricchimento di olio, sia rispetto al controllo che alle altre condizioni operative. Il processo di migrazione dell’olio all’interno della struttura delle patatine si acutizza dopo la frittura delle stesse. Pertanto riducendo la pressione dopo la cottura e in fase di sgocciolamento si verifica l’allontanamento dell’olio dalla superficie che in questo modo non ha il tempo di trasferirsi verso l’interno. In generale la qualità delle patatine risulta essere inalterata nelle varie condizioni di frittura ma quelle ottenute dallo sgocciolamento sottovuoto si presentano più leggere e digeribili, e possono, almeno in parte, ridimensionare il loro apporto calorico entro valori dieteticamente più accettabili.

 

alimentech in Processi Alimentari am Febbraio 22 2012 » Comments are closed.

I “Frying Shortening” e la degradazione termica dei grassi da frittura

Tutti i grassi, sottoposti ad aumenti eccessivi di temperatura, sono caratterizzati da una maggiore reattività tra l’ossigeno e i doppi legami degli acidi grassi, che portano alla rancidità del grasso, all’autossidazione e ad un incremento, almeno nelle fasi iniziali, del numero dei perossidi. [banner]I grassi e gli oli di diversa natura hanno differenti livelli di stabilità nelle stesse condizioni di impiego. Molti sono i fattori causali del deterioramento dei grassi da frittura. Questi fattori sono:

  • il numero di volte in cui lo stesso grasso è usato per friggere gli alimenti ovvero il “tasso di cambio”  dell’olio
  • il tipo di alimenti da friggere e il tipo di frittura
  • la temperatura del grasso
  • il contenuto di acidi grassi insaturi (soprattutto polinsaturi).

Le caratteristiche più importanti di un buon shortening da frittura sono la stabilità dell’aroma, la stabilità al calore, ed in generale la stabilità all’ossidazione.

Se il tasso di cambio dell’olio (turnover) è elevato, si possono usare grassi ed oli non idrogenati. Gli shortening che contengono un livello significativo di acido linoleico (come nell’olio di soia non idrogenato) non dovrebbero essere usati per friggere. Essi sono molto instabili, in termini di ossidazione, e siccome una piccola percentuale in peso penetra nell’alimento si osserva anche la diminuzione della shelf-life del prodotto fritto. Tra questi oli instabili sono da annoverare l’olio di mais, di girasole e cotone. Ovviamente si può ottenere una maggiore stabilità attraverso l’uso di oli meno insaturati come quello di palma.

In più, ai grassi da frittura si richiede un alto “punto di fumo”.“Il punto di fumo” è definito come la temperatura oltre la quale un certo grasso emette del fumo pungente con continuità quando è riscaldato in specifiche condizioni. Esso è il risultato di un incontrollato processo di modificazione che si verifica a scapito dell’olio e che alla lunga, a causa delle alte temperature, produce sostanze volatili come aldeidi, chetoni e alcoli a corta catena che si visualizzano sottoforma di fumo.

Un sistema alimento/olio in fase di frittura è sottoposta a una sorprendente  formazione molecolare:

  1. Innanzitutto l’olio mentre frigge assorbe aria; essa determina l’iniziazione delle reazioni di ossidazione. In questo modo si producono gli idroperossidi, quindi i dieni e trieni coniugati. Queste molecole tendono a  formarsi in quanto la frazione polinsatura degli oli in genere è costituta da acidi grassi con doppi legami isolati da un gruppo metilenico. Durante il processo di frittura può avvenire che alcuni di questi doppi legami traspongano formando degli acidi grassi coniugati in cui il gruppo metilenico scompare.
  2.  I sistemi coniugati  con 3, 4 o più doppi legami  sono molto instabili e possono reagire tra loro per formare dei polimeri. Può avvenire anche un fenomeno di “ciclizzazione” per cui un gruppo di doppi legami reagiscono a ridosso della stessa catena che li contiene a formare una molecola ciclica che può essere aromatica se avviene l’allontanamento di due idrogeni (reazioni Diels-Alder)
  3. La ciclizzazione dei trinei e dieni coniugati può avvenire senza cessione di idrogeni, in questo caso si formeranno cicli alifatici.
  4. La disidratazione dei dieni e trieni porta alla formazione di chetoni
  5. La fissione dei dieni e trieni forma alcoli e aldeidi che, per effetto delle elevate temperature, degradano in idrocarburi e alcoli.
  6. Gli idroperossidi formano radicali liberi che degradano in epossidi, alcoli e idrocarburi.
  7. L’alimento mentre frigge assorbe olio che va a sostituire l’acqua; questa dunque evapora insieme agli altri composti volatili neo-formati (fumo).

Gli Shortening, essendo in genere prodotti studiati “ad hoc”, presentano una composizione acidica ottimale che ostacolano, almeno in parte, le reazioni di degradazione e favoriscono la produzione e cottura di alimenti di migliore qualità sensoriale e nutrizionale, specie se paragonati a quelli fritti con oli inadeguati.

alimentech in Chimica degli Alimenti,Grassi e derivati,Processi Alimentari am Febbraio 16 2012 » Comments are closed.