Monthly Archive for Febbraio 2012

Ossigeno: singoletto e tripletto

Come abbiamo visto in precendeza l’ossigeno è una molecola abbastanza instabile. Ciò deriva dal fatto che in natura si presenta in forme molecolari diverse ovvero come ossigeno singoletto e ossigeno tripletto.[banner]

Questi due termini si relazionano al legame chimico (covalente) che sussiste tra 2 atomi di ossigeno. L’ossigeno molecolare presenta 12 elettroni di valenza nel guscio esterno suddivisi in 7 orbitali. Di questi orbitali 5 sono degeneri ovvero isoenergetici (in quanto presentano elettroni accoppiati con spin opposti) mentre gli altri 2 possono presentarsi con una diversa forma di degenerazione. Lo stato fondamentale dell’ossigeno è quello che identifica la condizione di tripletto a) ma essa non si verifica  quasi mai. La condizione di tripletto si deduce dalla disposizone elettronica mostrata in figura e che individua la molteplicita (S) =3 dove appunto S= 2s + 1 e dove s è la somma degli spin elettronici (ognuno vale +1/2) e quelli  (ognuno vale -1/2). Questo livello di energia molto basso non si presenta in natura ed è solo una predizione teorica tuttavia comunque lo stato di tripletto ha una probabilità non nulla di verificarsi nell’ossigeno.

In genere l’ossigeno si presenta più spesso con altre 2 condizioni elettroniche in cui lo stato fondamentale è definito singoletto (molteplicità S=1). In questo stato di singoletto, gli elettroni esterni sono accoppiati con spin antiparallelo. I particolare l’ossigeno nello stato fondamentale può trovarsi in 2 stati eccitati di singoletto: nel primo caso gli ultimi due orbitali degeneri (isoenergetici) possono essere accoppiati con spin antiparalleli ma presentando un orbitale vuoto b) oppure possono presentarsi con spin opposti ma in orbitali diversi c).

Questi stati eccitati in genere scompaiono appena formati e pertanto ciò implica che possono essere estremamente reattivi. In effetti tra le due condizioni eccitate, lo stato che presenta un orbitale vuoto b) è quello maggiormente rettivo con le specie chimiche vicinali in quanto cerca di riempire l’orbitale vuoto di antilegame. Proprio per questo nelle reazioni di perossidazione lipidica la nuvola elettronica del gruppo metilenico si sposta nell’orbitale vuoto dell’ossigeno, innescando in questo modo la modificazione strutturale degli acidi grassi.

Queste nozioni potrebbero sembrare poco pertinenti con il problema dell’ossidazione dei composti alimentari (e non solo), ma ci permettono di comprendere fino in fondo i meccanismi che sono alla base delle evoluzioni chimico-fisiche a cui sono sottoposte tutte le matrici organiche che interagiscono poi col nostro organismo dopo l’ingestione.

alimentech in Chimica degli Alimenti am Febbraio 26 2012 » Comments are closed.

Irrancidimento Ossidativo: Iniziazione e Propagazione

L’irrancidimento ossidativo è un processo bio-chimico a cui vanno incontro tutte le matrici alimentari contenenti oli e grassi sia aggiunti che naturali. Questo processo si verifica sostanzialmente a scapito degli acidi grassi liberi e determina la degradazione della qualità nutrizionale e sensoriale del prodotto alimentare. Per convenzione si tende a schematizzare il processo di perossidazione in 3 stadi separati ma essi, in un sistema eterogeneo e “multimolecolare” tipico delle matrici alimentari, si verificano contemporaneamente e cambiano solo i rapporti specifici tra i 3 stadi. [banner] All’inizio del processo la reazione che predomina è quella denominata iniziazione, a cui segue la propagazione ed infine la terminazione. Il primo stadio ha una rilevanza del 100% all’inizio del processo ossidativo e quella di terminazione è nulla. Ma man mano che avviene l’iniziazione si tende a passare nella propagazione, infatti le reazioni non sono isolate bensì continue e nel sistema dipendono dalle concentrazioni relative dei composti neo formati. I principali fautori delle reazioni di perossidazione sono i radicali liberi. In natura esistono diverse fonti primarie di radicali liberi, ma quelli che si propagano dall’olio sono stati ben riconosciuti. Essi identificano molecole instabili che reagiscono in modo rapido e mirato con molecole vicinali sensibili. In particolare riveste un ruolo fondamentale l’ossigeno singoletto che diffonde facilmente nei grassi liquidi operando sugli acidi grassi ossidandoli.

Supposto che:

  • RH= acido grasso idrogenato
  • X• = radicale libero
  • O2 = ossigeno

si ha che la reazione di iniziazione è verificata dall’equazione:

dove R• = grasso ossidato e XH = molecola stabile (non reattiva)

La reazione di iniziazione origina un numero limitato di molecole di acidi grassi dotate di un elettrone spaiato R• che sono molto reattive a loro volta nei confronti di altre molecole sensibili: siamo nel secondo stadio.

La propagazione è un sistema complesso di reazioni cicliche che seguono uno schema “inflazionario” e da una serie ne scaturiscono altre fino a raggiungere un plateu oltre cui la materia reagente termina.

Propagazione di Reazioni Ossidative; Lo schema va letto dall’alto verso il basso, le frecce indicano reazioni a catena

Formazione di un idroperossido dell’acido oleico

Nelle reazioni di propagazione l’ossigeno atmosferico reagisce con i radicali liberi per dare radicali perossi (ROO•) anche essi molto instabili. Se incontrano un acido grasso insaturo (RH) nelle vicinanze, formano insieme un idroperossido (ROOH) e un nuovo radicale reattivo (R•). Due idroperossidi reagendo tra loro formano acqua, radicali perossi (ROO•) e radicali alcossi (RO•).

Scomposizione degli idroperossidi in ioni alcossi e perossi

I radicali perossi e alcossi sono nuovamente implicati in una nuova serie di reazioni radicaliche. In effetti essi, come il radicale originario del primo stadio, sono capaci di estrarre facilmente gli atomi di idrogeno dei gruppi metilenci dei grassi monoenoici (acido oleico) e dei polienoici (come l’acido linoleico). I gruppi metilenici sono particolarmente esposti all’estrazione idrogenionica e da cui l’elettrone rimasto tende a spostarsi sulla catena carboniosa per formare un doppio legame trans assieme ad un idroperossido. Questo meccanismo interessa in particolare l’acido oleico (C18:1) e dà origine agli idroperossidi in posizione 8-9-10 e 11 in percentuali uguali. La reazione dell’acido linoleico (C18:2) invece porta alla formazione di idroperossidi in posizione 9 e 13 in quanto il diene coniugato è molto stabile e difficilmente concede l’ingresso all’ossigeno nelle parti centrali del sistema elettronico. Man mano che gli idroperossidi si accumulano nel grasso, l’ossigeno disciolto nella matrice grassa è assorbito in quantità notevoli ma, al procedere della reazione a catena, iniziano sempre più ad evidenziarsi i prodotti della degradazione come aldeidi, chetoni e alcoli. A generare tutte queste reazioni a cascata sembra essere implicato l’ossigeno singoletto ovvero una forma di ossigeno molto instabile (di cui parlo in altra sede), e che sembra essere attivato dalla clorofilla, dal gruppo eme (nella carne), dalla riboflavina e dalla luce. Non a caso gli oli tendono a conservarsi per un tempo più lungo se sono disposti in recipienti scuri, schermati dalla radiazione luminosa ed in cui sia stata applicata una bassa una bassa pressione parziale di ossigeno ( ovvero in atmosfera modificata).

alimentech in Chimica degli Alimenti,Grassi e derivati am Febbraio 25 2012 » Comments are closed.

Patatine Fritte più magre dopo Sgocciolamento Sottovuoto

Le patatine fritte sono un prodotto di culto ormai, vedere un film senza sgranocchiare patatine è come non vederlo affatto e molto spesso esse sono additate in quanto alimento superfluo e a volte dannoso per la salute umana. Le patatine fritte infatti non solo apportano nell’organismo  il carico calorico dell’amido di cui sono ricche, ma presentano anche una certa percentuale di olio e quindi di grasso. Questa combinazione le rende uno dei prodotti più calorici della dieta “mondiale”. [banner] Uno studio pubblicato sul Journal of Food Scienze ha messo in luce che specifici trattamenti pre e post cottura delle chips, possono effettivamente ridurre l’imbibizione di olio nelle patatine fritte.  In particolare la riduzione della pressione in una delle fasi post-cottura ha un  ruolo “sgassante” che facilita l’allontanamento dell’olio adeso. In particolare sono state sperimente tre specifiche varianti di cottura da confrontare con quelle di controllo.

Controllo: fruttura a pressione atmosferica (1 atm = 101,325 KPa) + sgocciolamento per 180 sec.

  1. Frittura ad 1 atm seguita dalla sua riduzione a 13,33 KPa circa 40 secondi prima della fine della cottura + sgocciolamento sottovuoto per 180 sec
  2. Frittura ad 1 atm seguita dalla sua riduzione a 13,33 KPa circa 3 secondi prima della fine della cottura + sgocciolamento sottovuoto per 180 sec
  3. Frittura ad 1 atm + sgocciolamento sottovuoto per 180 sec a 13,33 KPa dopo la cottura

Il controllo ha evidenziato un assorbimento di olio pari a 68,48 g/100 di materia secca (s.s.). La prima variante ha avidenziato la produzione di patatine più grasse del controllo (71g/100g sostanza secca). La seconda variante hanno prodotto patatine con 52,5 g/100 g ss. La terza variante invece ha dato patatine con il minore apporto di olio rispetto alle altre (32g olio/100g ss).

 

In effetti un tale risultato deriva dal fatto che la modifica della pressione prima della conclusione della cottura determina un anomalo arricchimento di olio nella massa amidacea delle patatine. Solo dopo la cottura, cioè in fase di sgocciolamento, la riduzione della pressione ha un effetto decisivo. Questo risultato può essere desunto dal naturale processo di cottura. Se si riduce la pressione prima della fine della cottura, l’evaporazione forzata dell’acqua presente nelle patate facilità l’ingresso anticipato dell’olio in quanto, in condizioni normali, la cottura è un processo di trasferimento di calore e di massa.

Il calore, durante la frittura, si trasferisce dall’esterno all’interno della patata, mentre la massa uscente è quella dell’acqua che evapora dalla superficie della patatina. Questo equilibrio viene alterato se viene applicata una pressione negativa (riduzione di pressione) prima della fine della cottura comportando un maggiore arricchimento di olio, sia rispetto al controllo che alle altre condizioni operative. Il processo di migrazione dell’olio all’interno della struttura delle patatine si acutizza dopo la frittura delle stesse. Pertanto riducendo la pressione dopo la cottura e in fase di sgocciolamento si verifica l’allontanamento dell’olio dalla superficie che in questo modo non ha il tempo di trasferirsi verso l’interno. In generale la qualità delle patatine risulta essere inalterata nelle varie condizioni di frittura ma quelle ottenute dallo sgocciolamento sottovuoto si presentano più leggere e digeribili, e possono, almeno in parte, ridimensionare il loro apporto calorico entro valori dieteticamente più accettabili.

 

alimentech in Processi Alimentari am Febbraio 22 2012 » Comments are closed.

Alchil-Esteri e Contaminanti: ulteriori parametri di genuinità dell’olio extravergine

In Italia recentemente è stato osservata una certa crescita o “riscrescita” del mercato nazionale degli oli di oliva, vergini ed extravergini. In effetti questo trend si è presentato anche in altri paesi della comunità europea particolarmente votati alla produzione oleicola. Ciò ovviamente ha determinato anche la revisione e la riqualificazione dei parametri analitici di genuinità e di qualità. Si ha una buona genuinità quando nei prodotti analizzati non si evidenziano, attraverso adeguati controlli, fenomeni come sofisticazioni o alterazioni derivanti da frodi o da negligenza nella produzione, mentre la qualità si valuta attraverso la rispondenza di specifici paramentri chimico-fisici. [banner]Le disposizioni in merito al controllo qualità alimentare sull’olio sono in genere dettate dalla Società Italiana per lo Studio delle Sostanze Grasse (SISSG) che  ha definto che le caratteristiche di qualità devono essere vagliate attraverso il controllo dell’acidità, del numero dei perossidi, panel test, solventi alogenati. Invece i paramentri e le caratteristiche di genuinità dal controllo degli acidi grassi (composizione percentuale), composizione dei fitosteroli, ΔECN 42, stireni, eritridiolo e uvaolo, acidi grassi trans, dalla tipologia di acido grasso presente in posizione C2, dai valori spettrofotometrici e dalle cere. Alcune aziende probabilmente non effettuano altre analisi addizzionali e l’ottimizzazione dei parametri sopracitati potrebbe già essere soddisfacente al monitoraggio di un olio di qualità. Tuttavia la Comunità Europea sembrava già essere intenzionata ad aggiungere altri due paramentri analitici: la valutazione degli alchil-esteri e quella dei contaminanti. Secondo la vecchia legislazione questi due paramentri non erano necessari alla valutazone dell’accettabilità dell’olio extravergine e vergine. Tuttavia alcuni oleifici, ed è una testimonianza diretta, prevedevano già queste due analisi all’interno del piano analitico di routine. Gli alchil esteri sono molecole che possono sintetizzarsi per l’interazione spontanea tra alcool metilico o etilico con acidi grassi liberi. Gli oli ottenuti da olive di pessima qualità, perchè lasciate seccare sui teli o non frante in tempi adeguati dopo la raccolta, possono liberare acidi grassi per l’attività di enzimi lipasi liberati nel citoplsma attraverso lisi cellulare o da muffe presenti sulla superfice. Non solo, l’invecchiamento del frutto di oliva e l’attività delle pectinasi apportate da batteri e muffe agiscono sul gruppo metilenico pectinico liberando alcol metilico.

Reazione di sintesi dei metil esteri di acidi grassi

L’alcol etilico invece deriva dalla fementazione batterica degli zuccheri (glucosio e fruttosio) presenti nel frutto. Sia l’alcol metilico (o metanolo) che l’acol etilico possono reagire facilmente col gruppo carbossilico degli acidi grassi liberi per dare metil (o etil) esteri detti appunto alchil-esteri. Siccome alcune delle reazioni imputate possono verificarsi anche durante il periodo di estrazione dell’olio è comunque tollerata la presenza di alchil esteri (+ metil alchil esteri) nell’olio extravergine fino a 75 mg/Kg. La valutazione degli alchil esteri è una metodica ufficile riconosciuta dal COI (Consiglio Oleicolo Internazionale) ma è diventata obbligatoria a livello comunitario il 30 gennaio 2011 con il Reg. CE 61/2011.

I contaminanti invece sembrano essere un parametro di controllo di genuinità ben più imprevedibile. La  loro assenza implica una certa sensibilità dal parte del produttore primario verso un’agricoltura biologica e comunque più rispettosa alla luce di prodotti finali puri. In generale, per controllarli, bisogna puntare sulla prevenzione della contaminazione sul campo in quanto essi non possono essere eliminati dall’olio se presenti. Nessuna sofisticazione può farlo. I pesticidi, gli idrocarburi policiclici aromatici, gli ftalati, gli oli minerali derivano da tecniche agronomiche non adeguate. Ma possono anche essere lo specchio di un ambiente contaminato nel quale la buona fede del produttore non è ripagata da un prodotto di qualità. Il controllo dei pesticidi e dei contaminati deriva solo dalle scelte dei produttori primari in una certa area produttiva e non da variabili temporali o tecnologiche facilmente gestibili. Questo è uno dei motori che spinge la ricerca verso prodotti (chimici ed imballagi) biodegradabili che non contaminino l’ambiente o verso la lotta integrata per una maggiore tutela, non solo dell’olio come prodotto finito, ma anche di tutta la filiera agroalimentare.

alimentech in Chimica degli Alimenti,Grassi e derivati am Febbraio 20 2012 » Comments are closed.

Omega-3 per ridurre gli effetti pro-infiammatori degli eicosanoidi

Gli eicosanoidi sono molecole ormone simile che si formano a livello cellulare da una serie di reazioni enzimatiche che determinano la modificazione strutturale degli acidi grassi a lunga catena -l’acido linoleico (18:2 n-6) e acido arachidonico (20:4 n-6 ) e dell’acido linolenico (18:3 n-3), DHA (22:6 n-3) e EPA (20:5 n-3). Gli eicosanoidi che si sintetizzano a partire dagli acidi n-6 fanno convenzionalmente parte della serie n6, quelli che si formano dagli acidi n-3 fanno parte della serie n3. In particolare la serie n3 identifica molecole che presentano un’attività bio-chimica meno dannosa della complementare. Queste molecole (sia della serie n3 che n6) manifestano un’attività paracrina, ovvero esplicano la loro funzione soltanto su cellule vicine alla loro sede di sintesi e quindi non vengono trasportate dal circolo sanguigno per agire in altri luoghi dell’organismo. Entrambe le serie sono coinvolte nelle funzioni riproduttive, nelle infiammazioni, nella febbre e nel dolore associato a traumi o malattie, agli spasmi del parto, nella formazione di coaguli di sangue (trombossani) e nella regolazione della pressione sanguigna (prostaglandine), nella secrezione gastrica e in altri processi bio-chimici. [banner] Proprio in funzione di tali virtù la carenza del consumo di grassi può comportare danni all’organismo. Alcuni studi sul neonato mostrano segni clinici di deficenza (ritardo nella crescita-alterazioni della pelle) imputabili ad una ridotta assunzione di acido linoleico (18:2<1% delle calorie alimentari). Inoltre in esperimenti condotti su topi da laboratorio si è visto che un basso apporto di acido linoleico determina un aumento del rapporto acidico (20:3 n-9/20:4 n-6). Oltre al linoleico (18:2) deve essere fornito anche una buona quantità di acido linolenico (18:3) per compensare la perdita fisiologica derivante dai depositi adiposi che ne riducono la disponibiltià funzionale. Sostanzialmente gli eicosanoidi derivanti dall’acido linoleico presentano una gamma di funzioni biologiche più completa (che include anche alcuni degli inevitabili effetti negativi di cui parlavamo) rispetto agli stessi ecosanoidi formati dalla serie n-3, pertanto è bene assumere una maggiore quantità di acidi n-6 rispetto agli n-3, ed infatti ciò già si verifica nella dieta normale. Ma l’enzima ciclo-ossigenasi presenta una maggiore affinità biologica verso gli acidi n-3 tale che un incremento degli stessi riduce la probabilità che l’enzima interagisca con l’acido arachidonico (20:4 n-6), quest’ultimo infatti porta alla formazione di eicosanoidi instabili o comunque pro-infiammatori nell’organismo. Oltre a questi accorgimenti è bene integrare la dieta con vitamina E in quanto questa sembra che riesca ad inibire la formazione di eicosanoidi pro-aggreganti (ovvero molecole che incentivano l’aggregazione piastrinica e riducono l’elasticità della parete vascolare). In particolare alcuni esperimenti di Rand (1988) hanno, in topi da laboratorio, evidenziato la riduzione della produzione di trombossani TXB2 (che in genere causano la formazione locale di trombi ematici) quando i roditori venivano nutriti con olio di palma arricchito di vitamina E. I trombossani sono molecole pro-aggreganti che si sviluppano conseguentemente alla modificazione chimica dell’acido arachidonico catalizzata dell’enzima ciclossigenasi, perossidasi e trombossano sintetasi, di cui la ciclossigenasi (COX) è l’enzima scatenante. Tutti gli ecicosanoidi svolgono anche la funzione di trasmettitori di segnali chimici che collegano l’esterno con l’interno della cellula.

TBX2: trombossano B2, TXA2: trombossano A2, PGI2: prostaciclina I2; PGD2: prostaglandina D2; PGE2: prostaglandina E2; PGF2a: prostaglandina F2-alfa

 L’acido arachidonico viene normalmente rilasciato nel citosol cellulare attraverso l’attività dell’enzima fosfolipasi A2, a sua volta attivata dalla protein chinasi C. Rand ha messo un evidenza che una dieta ricca di vitamina E determina, attraverso un meccanismo non chiaro, una parziale inattivazione della proteina chinasi C rendendola incapace di trasferire lo stimolo chimico/fisico dall’esterno all’interno della cellula. In questo modo l’enzima fosfolipasi A2 riduce la proria attività riducendo quindi la genesi dei trombossani TXB. Anche l’aspirina ha lo stesso effetto in quanto inibisce l’attività dell’enzima COX. Oltre alle TXB si formano anche altre molecole come prostaglandine (PG) e prostacicline (PGI), ma i trombossani possono essere gli agenti eziologici di patologie gravi come hictus, ischemie e infarti del miocardio. Al fine di controllare la genesi della formazione molecolare dei trombossani è bene dunque seguire regimi nutrizionali che prevedano una maggiore ingestione di acidi grassi della serie n-3 (acido linolenico, EPA e DHA) in modo tale da contribuire alla formazione di molecole bioattive che abbiano effetti collaterali meno dannosi, derivanti appunto dalla serie n-3. I nutrizionisti raccomandano che:

  1. i grassi polinsaturi (n-6) devono essere il 5% delle calorie totali
  2. i grassi polinsaturi (n-3) circa 1g/die
  3. EPA + DHA (assai presenti nei grassi dei pesci): 1 g/die
  4. il rapporto n6/n3 <5:1 (nei paesi occidentali invece è pari a 10:1)

Gli acidi grassi omega 6 (o n-6) non sono un problema dal punto di vista nutrizionale in quanto la dieta comune ne apporta dosi adeguate, diversamente dagli apporti alimentari di omega 3 (o n-3) che spesso non raggiungono nemmeno la dose minima consigliata. Pertanto oltre alle normali raccomandazioni dietetiche sopperibili attraverso i pasti tradizionali esistono anche alimenti nei quali è stato aggiunto omega 3 attraverso un processo tecnologico (o dietetico) applicato direttamente alla materia prima.

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alimentech in Chimica degli Alimenti,Grassi e derivati,Processi Alimentari am Febbraio 19 2012 » Comments are closed.

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